La nostra presenza nell’antico Lebbrosario di Harar

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Nella sua visita in Etiopia, avvenuta tra il 12 ottobre e il 4 novembre 2022, ho accompagnato Madre Loredana nelle missioni del Paese. Esse esprimono ancora profondamente il carisma e la vita della nostra cara e santa Madre Francesca e, in questo anno illuminato dalla sua Canonizzazione, abbiamo avuto la gioia di visitare la prima Missione delle Cappuccine in Etiopia, quella aperta nel luglio 1937 ad Harar presso il Lebbrosario S. Antonio.

Mosse dall’esempio della Fondatrice, che da laica si recava all’Ospedale del Cottolengo di Torino per prendersi cura degli “scarti dell’umanità”, ben ventidue Cappuccine, nell’arco di due anni, raggiunsero Harar per mettersi al servizio dei più poveri dei poveri: i lebbrosi. Alcune di loro, ancora molto giovani, professarono i Voti perpetui nella Cappella dedicata a Sant’Antonio di Padova.  Purtroppo questa cara Missione, che così tanto bene era riuscita a fare e a far sperare, è stata abbandonata dalle nostre Sorelle nel novembre 1944 quando, a causa della Seconda guerra mondiale, sono state rimpatriate insieme a tutti i missionari cattolici dalle truppe degli Alleati inglesi.

Tuttavia, ispirate dal fervore missionario di Madre Rubatto, nel 1964 un gruppo di Cappuccine provenienti dall’Italia e dall’America latina, con coraggio ed entusiasmo evangelico sono tornate in Africa, più precisamente in Eritrea, in quel tempo Provincia dell’Etiopia, dove le vocazioni locali cominciavano a fiorire. In seguito siamo tornate anche ad Harar, culla della nostra missione africana, dove sia il Convento che il Lebbrosario del Villaggio S. Antonio esistono ancora oggi. E seppure la piccola Comunità di Suore di Harar non viva più nell’originaria struttura del Lebbrosario, quasi del tutto distrutta, ciononostante si prende cura dei malati, soprattutto uomini anziani, abbandonati a se stessi. Suor Irene Gervasoni, missionaria italiana in Etiopia da più di quarant’anni, è più in particolare impegnata con loro e vive quotidianamente quanto diceva la nostra santa Madre alle sue figlie: «Siamo le serve dei poveri e dobbiamo fare loro qualunque servizio».

La Cappella del Villaggio S. Antonio è molto antica, fatta di fango e legno dai missionari Cappuccini francesi, precedente all’arrivo delle nostre prime missionarie. Ancora oggi mantiene le caratteristiche originarie e ciò che ci ha colpito di più è vederla divisa in due parti: una riservata alle persone sane e un’altra ai lebbrosi, che dovevano rimanere isolati. Per nutrire in egual misura la devozione, ogni settore a cui si accede da una differente entrata, ha il suo Crocifisso e una statua della Madonna. Questo luogo di preghiera ci ha fatto sentire all’interno di una storia carica sì di grande sofferenza ed emarginazione, ma soprattutto di una fede indomita e di una profonda carità, quella che muoveva le nostre Sorelle al bene con l’esortazione della Fondatrice: «Noi andiamo dagli ammalati non solo per il loro bene materiale, ma per il loro bene spirituale, cioè per salvare la loro anima».

Ringrazio di cuore Dio per questa nostra presenza che è proseguita nel tempo, nonostante grandi e profondi cambiamenti, e che per Sua grazia ci ha condotte e ricondotte in questa terra: quando le nostre prime Sorelle sono state rimpatriate a forza, sembrava fosse svanito il sogno di una missione in Africa, invece, come dal biblico tronco di Jesse, anche dalla radice di Harar è spuntato un germoglio che continua a portare frutto! Per questo e molto altro ancora, diamo lode a Dio che sempre realizza i suoi piani anche quando non li capiamo.

Sr. Alem Asfha

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